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Cose a Cui Le Scuole di Fumetto Non Mi Hanno Preparato

     Nel lontano 2007 succedevano tante cose: l’iPhone veniva lanciato sul mercato, le guerre in Iraq e in Afghanistan erano nel pieno, PD smetteva di essere solo l’acronimo di una bestemmia per essere associato a un qualcosa di ancor meno nobile. In quell’anno, io cominciavo a frequentare il corso triennale di fumetto in una nota scuola di Firenze, dopo una formazione superiore da perito in elettronica e telecomunicazioni.

     Mi piace dire, scherzando ma non troppo, che ne sono entrato senza saper disegnare e ne sono uscito senza saper disegnare; nonostante questa mia simpatica boutade non sono qui a dire che questo tipo di scuole siano inutili; anzi, per alcuni aspetti è stato per me un percorso necessario: ho imparato le basi per tecniche che utilizzo tuttora e che ho poi potuto migliorare, ho appreso la schematicità che si cela dietro la realizzazione di un fumetto, e soprattutto ho capito cosa, in questo campo, non volessi fare, tipo gli imbarazzanti fumettini manga su cui mi concentravo tanto alle scuole superiori. Già questo, capire cosa non vuoi nella vita, è un passo enorme per intraprendere una strada che potrebbe essere quella giusta, o comunque la più giusta in quel momento.

     Magari nei quattordici anni trascorsi (sigh) molte cose sono cambiate, per esempio il mondo dei social network che quando io frequentavo erano agli albori e a cui penso e spero che i corsi specializzati dedichino lo spazio dovuto, ma, secondo la mia esperienza, ci sono cose alle quali questo tipo di scuole non ti preparano affatto; penso che possa essere interessante parlarne per chi magari si trova catapultato in questo magico e maledetto mondo che è l’editoria. 

     L’importanza delle fiere; ti divertono così tanto quando da ragazzino le frequenti da visitatore, ti frustrano altrettanto quando devi necessariamente andarci per lavoro. Metto questo al primo punto perché le fiere del fumetto e quelle del libro, nelle quali i fumetti spopolano, sono il primo luogo al di fuori della scuola in cui potersi confrontare col mondo reale, dove non hai i tuoi due o duemila follower a dirti che sei bravo ma artisti ed editori che, il più sinceramente possibile, ti diranno cosa sbagli e dove puoi migliorarti. A vedere come molti studenti delle suddette scuole vi si presentano (sì, vi sgamiamo dalle tracolle) non credo che sia un argomento trattato a sufficienza. Di presenza ci si può far conoscere al meglio, conoscendo gente nuova e trovando nuovi contatti, fare P.R., insomma; ma gli artisti e gli editori in fiera, comunque, sono in fiera per lavorare, e spesso fanno un enorme favore a guardare i portfolio, quindi mi sento di dare un paio di consigli utili a chiunque stia leggendo. Studiate per bene gli editori presenti in fiera, selezionate quelli che vi sembrano più in linea con ciò che fate e con ciò che volete proporre; se volete proporre un progetto premuratevi di avere tutto il materiale, o chiedete le linee guida e quale iter seguire per presentare tale progetto.

     La seconda cosa di cui parlare sono certamente i contratti, o meglio: vale la pena pubblicare a qualsiasi costo? Parliamoci chiaro, sappiamo che nel mondo editoriale italiano non girano molti soldi, soprattutto se non sei famoso o, per meglio dire, conosciuto (sì, è un cane che si morde la coda), l’offerta spesso è quella che è e sembra non esserci spazio per determinate novità, se non in circuiti ancor meno remunerativi dell’usuale. Comunque sia, editori interessanti e interessati a pubblicare cose nuove ce ne sono, vanno cercati e devi cercare quello adatto a te (quindi torniamo al punto precedente, fiere, P.R. e tutte quelle menate lì). Tuttavia, c’è un limite che mi sono da sempre autoimposto, il paletto più importante che mi sono dato: non pubblicare mai e poi mai con editori che chiedono contributi di spesa all’autore. Li chiamano “contratti di co-produzione”, sostanzialmente ti spillano soldi per la stampa del volume e per organizzarti qualche presentazione su misconosciuti canali radio, social o simili; con questo giochino, l’editore ci va comunque in pari, senza perderci nulla. Non è solo una questione economica, ne ho sempre fatto una questione di principio: il lavoro dell’editore è quello di selezionare opere e autori che reputa meritevoli e renderle pubbliche; se devo spenderci soldi miei, preferisco l’autoproduzione, cosa che ho fatto, in effetti. Tornando alla domanda iniziale, vale la pena pubblicare a qualsiasi costo? Secondo me no. Nell’attesa di trovare un editore che decida di investire su di te puoi fare altre cose, dalla già citata autoproduzione alla collaborazione con collettivi artistici o ai webcomics, continuando a chiedere consigli a chi è già nell’ambiente e può aiutarti certamente a migliorarti e a trovare nuove strade e nuovi percorsi da seguire.

     Terzo e ultimo punto, non per importanza, l’importanza dell’originalità. Per originalità intendo avere un proprio stile, un proprio tratto distintivo, una propria voce. Certo, non è un qualcosa che si possa insegnare o che si possa apprendere semplicemente da un corso triennale, è un percorso personale lungo anni, che richiede una solida conoscenza di sé stessi e dei propri limiti. Nonostante, appunto, non sia un qualcosa da insegnare, nei percorsi delle scuole di fumetto che ho frequentato c’è una fastidiosa tendenza a uniformare verso lo stile favorito al momento di questa o quella casa editrice, con la quale vige una stretta collaborazione con questa o quella scuola. Ricordiamoci sempre che, ovviamente, anche per il tratto e lo stile di disegno esistono delle mode e delle tendenze precise, basta guardare quanto spopoli da qualche annetto a questa parte il tratto del cosiddetto “fumetto intimista”. Indirizzare i giovani fumettisti a un qualcosa che li faccia lavorare nel breve termine può essere ovviamente vantaggioso, ma, nel lungo termine, a quante mode passeggere dovranno uniformarsi? Quanto diventano questi percorsi utili nel creare artisti con quella voce personale di cui si parlava all’inizio del paragrafo? In questo percorso lungo e personale mi sono stati molto d’aiuto determinati ex-insegnanti con i quali in questi anni sono rimasto in contatto e che mi hanno dato ottimi consigli; e torniamo, nuovamente, al punto primo, che sembra essere quello che collega tutta questa mia manfrina. Coincidenze? 

     Con questa domanda retorica chiuderei questo breve excursus sperando che abbia dato almeno qualche spunto di riflessione, con l’augurio che non demordiate nel cercare di emergere in questo ambiente. Nel deserto c’è vita, e, se si guarda bene, non è neanche così deserto.

 

Domenico Martino

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