La lingua è una semplificazione del pensiero. Nessun pensiero può essere espresso se non tramite una vera e propria semplificazione, poiché fare una foto alle nostre reti neurali è non solo improbabile ma risulterebbe anche la semplice rappresentazione di un singolo momento di attività cerebrale, pertanto sarebbe abbastanza inutile. Quindi non ci si può affidare ad altro se non a quella sequela di convenzioni e gorgoglii che usualmente chiamiamo linguaggio. Il linguaggio sta alla base della comunicazione, proprio perché si tratta di una convenzione condivisa dai più. Una comunicazione puntuale è sicuramente preferibile a una comunicazione costellata da quello che in gergo si chiama “rumore”. Per capirsi: più un concetto risulta labile più sarà difficile esprimerlo per benino; un po’ come quando alla radio ci si allontana dall’antenna e la comunicazione si fa sempre più incomprensibile.

Alla luce di queste piccole riflessioni andiamo un secondo ad affrontare il titolo di questo articolo: perché definire di aver scritto un libro è una disagevole castroneria? Se prendiamo in esame il concetto di libro come di un oggetto allora le considerazioni sono assolutamente consequenziali.  Guardiamoci negli occhi: non molti di noi sono adusi a scriptorium che echeggiano “Il Nome della Rosa” o a copiare indefinite copie dello stesso volume ora dopo ora, giorno dopo giorno, per cui non molti di noi sono effettivamente padroni dell’arte dello scrivere libri. Andiamo col pensiero a quel meraviglio pazzo di Ulises Carrìon: nel suo The New Art of Making Books il messicano pazzo illustra come Gutemberg e i suoi strani tipi abbiano effettivamente mutato il concetto di scrivere libri da quelli usciti dai copisti di Christine de Pizan a quelli di moderna concezione.

Un libro può essere un saggio, un romanzo, un pamphlet, la trascrizione di un’opera teatrale o la redazione – tragica – del verbale di un’assemblea di condominio, per cui chiunque vuole lavorare con le parole ha il sacrosanto dovere di usare un linguaggio il più possibile comprensibile e puntuale. Alba Muzzi, una delle persone più colte e intelligenti che abbia avuto la fortuna di incontrare nella vita, mi diceva sempre che un linguaggio puntuale è indice di un pensiero corretto e preciso, al tempo non prestavo molta attenzione a queste cose, avevo quindici anni e la mia mente andava più verso ragazze, musica e trovare i soldi per un paio di canne. Oggi più ripenso a quelle parole, più sento di aver perduto una possibilità, possibilità di cui non priverò i lettori di questo blog.

“Se vuoi essere un professionista comportati come tale.”

Copyright©2022

Questo sito usa i cookies. No, non sono biscottini e neanche caramelle. Se non vuoi accettarli sei libero di tornare da dove sei venuto.
I link, se vuoi leggere il pippone, sono: Cookies Privacy Termini e Condizioni