Oggi parleremo di un argomento spinoso, più dell’utero in affitto (o in logazione), più del problema esistenziale della sinistra, più di Aldo che mi spacca il muro con le freccette: il problema del Comic Sans.

Il problema del Comic Sans, come quello della mafia e dei politici che parlano come adolescenti idioti, è un problema tutto italiano e, dalla Pubblica Amministrazione alle filiali ministeriali il Comic Sans si trova un po’ ovunque

Ora: sarebbe un font come un altro, niente di speciale, un po’ approssimativo forse, un po’ bambinesco sicuramente, ma non un font terribile; il problema è come per una pistola, o una parola, l’uso che se ne fa. Non esiste una pistola cattiva o una parola cattiva, sono strumenti. Io posso utilizzare una pistola per aprire una birra e diventa uno strumento positivo, posso usare la pistola per ammazzare un aggressore sordomuto e zoppo di spalle a cento metri e diventa uno strumento di legittima difesa.

E così un font.

Agosto, caldo torrido, mi hanno fissato un appuntamento al Comune per qualche fregnaccia che non ricordo, mi reco lì in kayak, ché il sudore dei turisti ha creato una piena dell’Arno, parcheggio il kayak ed entro nelle anguste sale comunali, con ottantenni affannati che carpiscono ogni refolo d’aria dei ventilatori puntati invariabilmente contro le grigie amebe della PA. Arrivo fresco come un salame scaduto di fronte al luogo del mio appuntamento e leggo: “Ufficio chiuso per ferie, contattare il XXX.XXXXXX per nuovi appuntamenti.” è scritto in comic sans.

Il cielo mi cade addosso, un moto di stizza mi assale, mi pervade, la mia attenzione è catturata da quelle molli e melliflue morbide lettere, disposte come bon bon che ti mandano a fare in culo nel frammentre, avrei voglia di fumare, urlare, defecare in pubblico… solo l’arrivo di una signora mi frena.

Una di quelle candide signore fiorentine, all’apparenza simpatiche vecchine con un passato da insegnanti di Latino e Greco in un liceo, nella sostanza delle affoga-gattini che fanno le mozzarelle in casa nelle calze di nylon e con un passato da insegnati di Latino e Greco in un liceo; legge il foglio A4 in guisa di cartello, si gira verso di me, nuovo sodale nella battaglia di carte e burocrazie, sorride.

– Poverini… – mi dice.

“No, Micha, non cominciare”.

– Mugugno non meglio specificato – rispondo cercando un catetere con cui distrarla.

– Saranno stati proprio stanchi, giovinotto perché non chiama il numero e fissa un appuntamento?

“No, anziana cittadina con un passato da insegnate di Latino e Greco in un liceo, non mi avrai”.

– Mugugno alternato a sbuffo spazientito – e la guardo torvo come un terrapiattista gigante che osserva la Terra dallo Spazio.

La vecchia capisce l’antifona (forse per il suo passato da insegnate di Latino e Greco in un liceo) e si allontana, con in bocca solo improperi nei confronti dell’attuale gioventù che non rispetta gli anziani.

Esco dal Comune, slego il kayak e pagaiando rifletto. Il segreto è proprio il Comic Sans. È l’anima del messaggio, non il mezzo di trasmissione, con quelle sue formine buffe, nessun dettaglio aguzzo o erto, fa sembrare il messaggio fanciullesco, con quel senso deamicisiano del patè d’animo che rende ogni messaggio non solo carino e puerile, ma anche contribuisce a deresponsabilizzare l’interlocutore. Come la foto di un gattino in un manifesto elettorale di Hitler.

E, forse, per questo sono contrario al Comic Sans.

Perché io prendo le mie responsabilità e se devo mandare a fare in culo qualcuno preferisco il Garamond.

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